Oggi non è una giornata nata bene. Lea si è svegliata di malumore: un malessere vago, sottile, che l’attraversa tutta; ha zittito la sveglia e si è alzata. Qualche noia di lavoro, un leggero mal di testa che non l’abbandona da un paio di giorni, un fraintendimento telefonico con sua figlia (che poi, chiarirsi via filo è davvero complicato). Niente di irreparabile, niente di catastrofico, ma il buonumore è un’altra cosa. Per osmosi, dovrebbe essere una giornata uggiosa. Invece il cielo è azzurro e il sole, già caldo. Il meteo però questa volta non è una medicina sufficiente a guarire. Forse Lea dovrebbe indagare meglio: probabile che qualcosa si annidi in strati più profondi. Ma è il caso di scavare? I processi di autoanalisi la sfiancano e, in genere, non risolvono. Si veste “da casa” (jeans e felpa) ed esce. Una colazione veloce al bar sotto casa, senza sedersi per carità, che non è giornata. E poi supermercato, ufficio postale e banca. Commissioni, doverose commissioni. Non passa, proprio non passa. Si impone di non avvilupparsi in una spirale di malinconia e decide all’improvviso un acquisto che non le appartiene. Un mazzo di fiori, tulipani gialli, per il vaso dell’ingresso. In genere non compra fiori, anche se le piacciono; è un gesto, una spesa, a cui non pensa mai. Però oggi quel tocco di colore e quel profumo sono un toccasana. Un benefico sortilegio che le consente – almeno – di riappropriarsi al volo di un sorriso.