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Tratto da  http://www.panorama.it/cinema/al-cinema/quel-che-sapeva-maisie-film-recensione/

Delicato e sincero, Quel che sapeva Maisie è uno di quei piccoli film silenziosi ricchi di meriti. Restando sulla superficie della quotidianità di tante vite di oggi dà un vivido rimando di autenticità. E regala un paio d’ore di buon cinema.  Ecco cinque motivi per vederlo.

Henry James riletto in chiave contemporanea. Nel 1897 lo scrittore statunitense Henry James nel romanzo What Maisie Knew,  ritraeva una coppia di genitori irresponsabili vista con gli occhi della loro figlia sensibile, nel periodo di tempo intercorrente tra la sua prima infanzia e la precoce maturità. Il collaudato duo di registi americani Scott McGehee e David Siegel rilegge questa storia in chiave contemporanea, sull’idea dello sceneggiatore Carroll Cartwright. La moderna famiglia disfunzionale diventa protagonista in tutte le sue amnesie e i suoi egoismi.

La famiglia disfunzionale nello sguardo dolce di Maisie.  Julianne Moore è Susanna, una rockstar distratta e tutt’altro che equilibrata che tra le varie cose cerca anche di amare sua figlia Maisie (Onata Aprile), bimbetta di sei anni; a tratti pensa anche di farlo, ma alla fine l’assuefazione a soddisfare il proprio ego prevale sempre. Steve Coogan  è Beale, marito di Susanna e padre di Maisie, sempre in giro per il mondo, affabulatore sorridente e poco presente. Tra Susanna e Beale è bufera, divorzio, battaglia a suon di grida e nuovi giovani compagni: da una parte per Beale c’è la dolce e bionda tata Margot (Joanna Vanderham), dall’altra per Susanna c’è l’aitante Lincoln (Alexander Skarsgård).  I diverbi, le scenate, le promesse e gli appuntamenti mancati, tutto è visto con lo sguardo della piccola Maisie. La telecamera spesso si muove alla sua altezza. Non c’è giudizio in quello sguardo taciturno e dolcissimo. Come capita ai bambini, Maisie a volte sembra non notare le urla, tutta presa a ritirare con gioia una pizza o a giocare. Non afferra appieno tutto quello che le accade attorno. Ma è evidente che dentro di sé ne coglie il significato profondo. E che tutto ciò che vorrebbe  è solo un po’ di pace e affettuosa routine, semplice e pacata, senza ricatti e repentine strattonate.

Una lezione per i grandi.  Quel che sapeva Maisie è un film da vedere, a mo’ di insegnamento, perché rappresenta tutto quello che un genitore non dovrebbe fare: parlare male dell’altro genitore con il proprio figlio, mettergli in bocca parole da riferire davanti a un giudice, dimenticarsi di andarlo a prendere, affidarlo a un altro adulto senza neanche sincerarsi che al di là della porta ci sia il destinatario del “pacco”.

Interpretazioni potenti.  Del quintetto centrale di attori ognuno fa del suo meglio. Se Julianne Moore è fastidiosamente credibile, così nevrotica, così manipolatrice, Alexander Skarsgård è il gigante buono accanto a cui la piccola Maisie trova protezione e complicità. L’attore svedese è solido e accogliente, senza sdolcinati svolazzi emotivi. Il merito è anche della regia che è empatica ma mai compiaciuta nel sentimentalismo.  Su tutti, però, è la piccola Onata a svettare, nella sua esile stazza, in quei piedi che trascinano a fatica gli stivali messi dalla mamma, nei suoi occhi acquosi che a volte si perdono a guardare le decorazioni di un soffitto. Il suo visino docile e sballottato racchiude tutta la tenerezza del mondo, senza ammiccamenti, sbatter di ciglia e sorrisi rubacuori.

La drammaticità non è esasperata. Nonostante la tematica trattata, Scott McGehee e David Siegel mantengono comunque sotto controllo il livello della drammaticità, concedendo anche momenti in cui viene stemperata. Il finale forse è prevedibile o forse era l’unica soluzione possibile. Emozionante la canzone di chiusura, Feeling of Being cantata da Lucy Schwartz.

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